Nelle culture dell’antichità (babilonese, egiziana, ebraica) si ritrovano descrizioni di oscillazioni dell’umore che oggi verrebbero inquadrate nell’ambito del disturbo bipolare; a quel tempo esse venivano attribuite all’intervento di forze soprannaturali o divine ed erano spesso considerate come una forma di punizione.

Ippocrate, nel IV secolo a.C, respinse queste interpretazioni di tipo etico-religioso e considerò il cervello sede dell’affettività e di ogni altra manifestazione psichica:
«... da null’altro si formano i piaceri e la serenità e il riso e lo scherzo se non dal cervello, e così i dolori, le pene, la tristezza e il pianto».
A lui dobbiamo le prime descrizioni cliniche dei disturbi dell’umore ed il termine “melancolia”, affezione considerata conseguente all’azione patogena della “bile nera” sul cervello (dal greco: mèlas = nero, cholè = bile). Egli pose l’accento sulla periodicità della malattia, rilevandone la stagionalità, e delineò i quattro tipi temperamentali in grado di predisporre ai diversi disturbi mentali: collerico, melanconico, sanguigno, flemmatico. Ciascuno di questi temperamenti sarebbe derivato dall’eccesso degli umori corrispondenti: bile gialla, bile nera, sangue e flegma; ad esempio, secondo la scuola ippocratica la mania (collera) era provocata da un eccesso di bile gialla.

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