Patrizia Targani è una "scrittrice", o meglio, “una donna che ama scrivere” come lei stessa si definisce, che attraverso la scrittura è riuscita a liberarsi da un pesante fardello, sopportato per troppo tempo. All’età di 21 anni, da quando Patrizia subì violenza, da quel giorno ha murato dentro di se ogni dolore, soffocandolo perchè non trasparisse a nessuno per oltre venti anni. Scrivere ha ridato voce a quel silenzio obbligato, facendo riappropriare a Patrizia la sua vita. Nel 2005 ha scritto il pimo romanzo (Riflessi - Il Filo), vincitore nel 2006 del Premio Internazionale di Sestri Levante “Il Maestrale - Marengo d'oro”, dando la forza alla scrittrice di continuare a scrivere. Nel 2007 ha pubblicato, con la casa editrice Zona, il romanzo attualmente in circolazione, "Odio, gli inganni della vita", nel quale ha inserito le due pagine riguardanti la violenza subita, e grazie alle quali ha finalmente ritrovato il sorriso. In questi anni ho scritto diverse poesie, da lei definite “fotografie dell'anima”, perché hanno "fissato" certe emozioni che premevano per uscire. Rileggerle è per Patrizia come sfogliare un album di ricordi. Per alcuni articoli, pubblicati nel bollettino rotariano del club di cui il marito è stato presidente nel 2005, ha ricevuto con orgoglio il “Genovesino d'argento”, premio di cui è particolarmente fiera, essendo la prima donna in Liguria a riceverlo. Ha terminato da un anno circa un terzo romanzo (385 pagine) che è in attesa di trovare un editore serio che apprezzi questo lavoro. In questo momento sta scrivendo un quarto romanzo, sempre inerente al tema femminile ed ai suoi risvolti psicologici. Indagare nelle pieghe dei sentimenti femminili costringe la Targani ad approfondire lati del suo “io” che non credeva di possedere. Scrivere è una dolce sfida con se stessa, ed indossare le vesti di altre donne l’appaga da ogni punto di vista. Il link dove poter leggere l'incipit del romanzo "Odio, gli inganni della vita" è: www.editricezona.it/odio.htm-20k

Di seguito le pagine verità che non sono presenti sul link ed alle quali Patrizia deve la sua libertà di donna!

"vieni, Silvia, tocca a te!" Le parole di quell'uomo sembravano le solite, quelle che adoperava con tutte senza distinzione, ma lo sguardo che le accompagnava era molto più acuto. Gli occhi si erano fatti più piccoli, quasi volessero nascondere quello che la mente aveva già predisposto. Silvia non se ne accorse, e questa fu la sua condanna. Non fu attenta neppure Biancaneve quando la strega cattiva le porse la mela avvelenata.... E la bambina diede un morso alla mela e cadde a terra... "Dai, vieni, non avere paura!", sbavò l'orco. Silvia si stupì per quell'invito, non intuendo il motivo del perché avrebbe dovuto avere timore di lui. In fin dei conti era lo stesso noioso rituale che usava compiere ogni mercoledì e venerdì da ben tre mesi. ...L'agnello ignaro trotterellò vicino al pastore e lui lo chiuse tra le sue gambe, come in una gabbia. Poi con una mano tirò verso di sè il tenero collo e con l'altra impugnò il coltello, squarciandogli la gola. La sera, il respiro del vento portò il suo grido disperato in tutte le vallate e il torrente si colorò con il suo sangue innocente e il suo pianto echeggia ancora tra le montagne... Silvia riteneva che quell'operazione fosse un'inutile perdita di tempo e per di più particolarmente fastidiosa, almeno per lei. Rotola, srotola, arrotola ancora. Al termine della lezione era sudata, stanca e aspettava con ansia il momento di raggiungere la mamma negli spogliatoi al piano superiore. La palestra era deserta. Nel silenzio si riuscivano a sentire gli echi delle chiacchiere femminili sotto le docce. Un angolo del locale era adibito al relax. Una serie di lettini imbottiti, uno a fianco all'altro, giaceva in una zona più appartata. Il maestro, così si faceva chiamare, era seduto sopra a quello più esterno. Attendeva con gli occhi piccoli, porcini, le mani aperte, come in una morsa, pronte ad afferrare la sua vittima. Silvia gli si avvicinò, serena come sempre. L'odore acre del sudore di quell'uomo le colpì le narici. L'adrenalina di quello che sarebbe accaduto da lì a breve, aveva reso ancora più acido l'odore della sua pelle. La ragazza si sistemò in piedi tra le sue cosce muscolose, dandogli le spalle. Ora il maestro le avrebbe chiesto di divaricare leggermente le gambe per poter compiere più agevolmente l'operazione. Silvia, sapendolo, precedette la sua richiesta e si pose docilmente nella posizione corretta. L'istruttore non parlò, ma Silvia capì che doveva aver sorriso. Il maestro non amava ripetere le cose e s'innervosiva molto quando lo doveva fare. Anticiparlo addirittura era un fatto insperato.L'uomo iniziò a muovere le mani come al solito, mentre l'alito pesante sbuffava sulla giovane carne ancora umida per la fatica. fece qualche pressione in più sulla coscia, come per saggiare la reazione della ragazza. Silvia non reagì, intimidita da quella presenza, credendo che quel tocco fosse casuale e innocente. Quindi l'uomo continuò a srotolare la benda da ogni gamba, come fosse una giostra. Srotola, srotola, srotola... Giro, giro tondo, casca il mondo... Poi la mano levò l'ultimo lembo della benda e di nuovo quelle dita presero a camminare sulla sua pelle, come piattole disgustose alla ricerca di cibo, fino a sfiorarle le mutandine. Ancora un brivido nel silenzio, tanto forte da avere paura che lui l'avvertisse. E lui lo sentì, prendendolo come un segnale. Come il tacito assenso al suo malvagio e lurido crimine. In un attimo l'uomo la prese per la vita e la scaraventò sul lettino, bloccandola con il suo peso. Quel viso paonazzo per l'eccitazione grondava sudore, lordandole le guance rosse di vergogna. Con un rapido gesto la bestia le sfilò gli slip. Silvia non si era accorta che nell'intento di scalciare via da sé quell'uomo gli aveva facilitato la manovra. Con un altro movimento violento alzò il ginocchio facendolo scivolare con forza verso l'interno della coscia sinistra della ragazza, obbligandola a divaricare le sue gambe, tremanti e deboli per la paura. Silvia era muta dal terrore, ma il suo corpo tentava ancora di guizzare come un piccolo pesce preso nella rete che va alla ricerca della salvezza attraverso una maglia allentata. Il maestro arrestò con una sola mano il divincolarsi delle braccia, stringendo in una morsa ambedue i polsi e sollevandoli sopra la testa della donna. Adesso la vittima era immobilizzata, non avrebbe più avuto la possibilità di scappare. Ora finalmente avrebbe avuto inizio il momento tanto atteso. Con la mano destra l'uomo annaspò all'interno dei suoi pantaloni, abbassandoli quel tanto che bastava per dare sfogo alla sua violenza. L'aria era diventata pesante, quanto quel fetido corpo di maschio che la stava soffocando. Silvia era schiacciata dal peso che le impediva anche il più piccolo movimento del torace, bloccandole il respiro. Solo la testa era libera e il maestro la bloccò con la sua bava. Aprì le fauci, come volesse inghiottirla, tirò fuori la viscida lingua e cominciò a leccarla da un lato e dall'altro dle viso. Eccitato per la disgustosa alchimia di umori, finalmente era pronto per affondare la sua lama. Silvia continuava a sbattere, a lottare sempre con meno forza, ma il suo dimenarsi fomentava ancora di più il suo carnefice. Quando se ne rese conto la ragazza si pietrificò, chiudendo gli occhi per non vedere più quel volto ansimante sopra di lei. Se solo avesse potuto avrebbe murato anche le orecchie per non ascoltare il putrido delle parole che fuoriuscivano da quella bocca. Non poteva, e quelle frasi sudice la marchiarono per sempre, come stigmate sanguinanti. Quell'animale entrò dentro di lei, con forza, con violenza, forzando quelle giovani gambe vibranti, divaricandole ogni colpo di più. Silvia pensò che se ci fosse stato un momento giusto per poter morire, sarebbe stato quello. Cominciò a pregare Dio, chiedendogli di salvarla, di portarla via da lì prima possibile. Ma quell'uomo era sempre sopra di lei, e allora pregò perché quel martirio terminasse al più presto. I grugniti si confondevano con gli spasimi del corpo, ma ormai Silvia non sentiva più nulla. Lei era già morta. Non era più suo quel corpo che quel bastardo stava profanando. Gli ultimi colpi furono più lenti, fino a quando arrivò quello finale, accompagnato da un ultimo trionfante grugnito animale. Infine la bestia si alzò appagata, lasciando finalmente libera Silvia. Il ghigno che aveva sul volto dimostrava che aveva gradito il pasto. La ragazza rimase immobile per un tempo che le sembrò infinito, sperando di essere morta realmente. Poi aprì gli occhi, umidi di vergogna, e sentì il suo petto riprendere aria nei polmoni. Era ancora viva, ma una parte di lei non esisteva più. Come al rallentatore posò a terra le gambe doloranti, si alzò e si ricompose come meglio poteva. Non era più la stessa ragazza di un'ora prima: la testa bassa, le spalle curve, la pelle bruciante di vergogna, di rabbia, d'impotenza e di frustrazione. Silvia uscì da quell'inferno senza voltarsi, senza guardare quegli occhi viscidi e soddisfatti dietro di lei. Raggiunse la madre, scusandosi del ritardo. Si spogliò, aprì l'acqua della doccia e restò sotto il getto gelido per quanto più tempo le fosse possibile, con l'illusione di togliersi di dosso quell'odore di marcio che le era rimasto sulla pelle. Poi, dopo essersi asciugata e rivestita, provò a dipingere le labbra con il suo sorriso migliore e ritornò a casa con Lucia, prendendola per mano come una brava bambina. Quella fu l'ultima volta che entrò in una palestra.

Info: patriziatargani@katamail.com

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