«Faccio la "Dame aux Camelias" che avrà per titolo, forse, "Traviata". Un soggetto dell’epoca. Un altro forse non l’avrebbe fatto per i costumi, pei tempi, e per mille altri goffi scrupoli (…) Io lo faccio con tutto il piacere»: scriveva il compositore Giuseppe Verdi all’amico Cesare de Sanctis nel gennaio 1853. Nasceva così "La traviata", opera in tre atti e quattro scene su libretto di Francesco Maria Piave, che viene unanimemente considerata «uno dei drammi in musica più importanti a livello universale» e, grazie alla sua raffinata vena intimistica e al suo elegante dialogo tra eros e thanatos, il capolavoro della celebre «trilogia popolare verdiana» (della quale fanno parte anche il "Rigoletto" e "Il trovatore").
Sotto l'occhio di bue del palcoscenico la bella e scostante Violetta Valery, una prostituta parigina d’alto bordo realmente esistita con il nome di Alphonsine Plessis, che Alexandre Dumas figlio consegnò a futura memoria nel romanzo e, quindi, nella «comédie mêlée d’ariettes» "Le dame aux camélias" come Margherite Gautier, donna che, dopo una vita trascorsa nel vizio, si innamora, ricambiata, di un giovane di buona famiglia, cui è costretta a rinunciare in nome delle convenzioni sociali del tempo e che ritroverà sul letto di morte, riappacificandosi solo poco prima di spirare, appena ventitreenne, per colpa della tisi.
A far rivivere sul palcoscenico del teatro Sociale di Busto Arsizio, nell’ambito della rassegna BA Teatro–Stagione cittadina 2007/2008, la romantica e struggente storia di Violetta e del suo amato Alfredo Germont saranno, alle 21 di giovedì 17 aprile, il coro lirico del BelCanto e l’orchestra Filarmonìa di Milano, sotto la direzione del maestro Pierangelo Gelmini. In scena ci saranno anche i danzatori Lino Villa, Roberta Corva e Stefania Barina. Firma la regia Gianfranco Ronconi.
"La traviata", il cui debutto risale al 6 marzo 1853 presso il teatro La Fenice di Venezia, si configura come un’«opera di carattere morale», con al centro diversi ingredienti tipici della librettistica ottocentesca: dall’amore inteso come legame che supera ogni limite imposto dalle regole della convenienza sociale alla preminenza del valore della famiglia su qualsiasi altro. Nuova è, invece, la scelta di trattare una vicenda legata alla cronaca contemporanea, per giunta mutuata da un best-seller della cosiddetta letteratura scandalistica, laddove la librettistica prediligeva il più delle volte ambientazioni lontane nel tempo e nello spazio, se non addirittura mitiche. Non è un caso che solo nell’edizione del 1906 l’opera verdiana venisse rappresentata in abiti ottocenteschi; le prime repliche retrodatarono, infatti, la storia all’epoca di Luigi XIV per non incorrere nella censura, ma anche per motivi pratici: «abituati ai costumi, difficilmente i coristi, che cantavano per arrotondare lo stipendio, -ricorda il musicologo Gianni Ruffin- avrebbero indossato con disinvoltura gli abiti di lusso dell’aristocrazia e alta borghesia del tempo».
La grande innovazione di questo melodramma, unanimemente considerato l’«ultima opera belcantistica di Giuseppe Verdi», sta, però, nelle soluzioni drammaturgico-musicali adottate, che ne hanno fatto il perfetto spartiacque fra il modello di inizio Ottocento, ancora legato a una dimensione vocale idealizzata, e la nuova via «realistica», percorsa dal compositore di Busseto con i suoi lavori successivi. La parte di Violetta Valery ne è l’immagine con la sua esuberante ornamentazione virtuosistica del primo atto («tutta quanta risolta con picchi, acuti, scalette e arpeggi», per usare le parole di Renato Bossa), cui segue un finale quasi recitato, giocato su intensi momenti di declamazione, in cui incide più il sentimento del bel canto, dove si respirano tutte le mille sfaccettature dell’animo della protagonista, in bilico tra gioia, dolore, vergogna, pentimento, malinconia. Una novità, questa, che fu colta dal critico dell’Italia musicale nei giorni antecedenti la sfortuna “prima” (l’opera verdiana raggiunse il successo solo nella seconda edizione, quella presentata il 6 maggio 1854 al teatro San Benedetto di Venezia): «La traviata è la migliore o almeno la più progressiva delle opere moderne […] D'ora innanzi [...] si anderà al teatro d'opera con quella medesima disposizione con cui si va al teatro del dramma. [...] Verdi è inventore di un nuovissimo genere di musica, egli ha moltiplicato i suoi mezzi e vuole che essa sia capace di esprimere non solo i pensieri e i sentimenti in generale, ma anche tutte le loro modificazioni».
Fra i passaggi più popolari del capolavoro verdiano, il motivo "Amami, Alfredo, amami quanto io t’amo", diventato un topos della lirica, oltre al celeberrimo brindisi "Libiamo ne’ lieti calici", alla cabaletta "Sempre libera degg’io", all’aria "Addio, del passato bei sogni redenti" e al duetto "Parigi, o cara, noi lasceremo". Tutti brani entrati prepotentemente nel comune sentire e capaci di emozionare, con il loro pathos e il loro romanticismo, non solo i melomani, ma anche un pubblico non esperto.
Il costo dei biglietti è di euro 30 per l’intero ed euro 25 per il ridotto, riservato a giovani fino a 26 anni, militari, over 65, Cral, scuole, biblioteche, associazioni (minimo dieci persone).


Informazioni al pubblico: Il teatro Sociale srl, piazza Plebiscito 1, 21052 Busto Arsizio (Varese), tel. 0331 679000, fax. 0331 637289, info@teatrosociale.it, www.teatrosociale.it. Orario prevendita: lunedì-venerdì, dalle 16.00 alle 18.00.

Informazioni alla stampa: Ufficio stampa teatro Sociale di Busto Arsizio - Annamaria Sigalotti, piazza Plebiscito 1 – 21052 Busto Arsizio (Varese) tel. 0331.679000, fax. 0331.637289, cell. 347.5776656, e-mail:press@teatrosociale.it.

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