Certo riconosco che un po’ acida sono diventata. Non è tanto per l’annosa vicenda dell’eterna zitella, vicenda ormai superata data la mia età, no, oggi ho tutti i denti avvelenati per la mia estrazione sociale che invece in passato non mi aveva mai causato problemi. Anzi, mi vantavo di essere una poveraccia in canna e soprattutto negli anni 80, quando imperversavano in tutte le vie di Roma i gipponi, ed i relativi proprietari si avviavano con passo elastico verso gli stessi (mocassino rigorosamente da barca), facendone roteare e tintinnare la chiavetta d’accensione. Costoro possedevano TUTTI la seconda casa di proprietà in Toscana (Mammamaremma) e alla fatidica domanda “dove vai in vacanza” rispondevano appunto “in Maremma”. Votavano Craxi e Martelli, maremmamaiala, e avevano un cane da portare a fare i bisognini la mattina mentre scorrevano disimpegnatamente il giornale. Tanto, liberi professionisti com’erano, potevano entrare tranquillamente nel posto di lavoro alle 11, mica alla 7 come me, con la bava alla bocca e su un autobus asfittico. Poi c’è stata Tangentopoli, i gipponi sono spariti dalla circolazione (e dalle strade), sono riapparse le macchine formato casereccio, più grandi, più robuste e più capienti per la famigliola composta da moglie abbronzata ma perennemente incazzata, da marito-mammo con l’aria del coglione e da stuolo di figli tutti adottati, meglio se extracomunitari, perchè fa più chic. I cani vanno ancora per la maggiore, anzi, ora i proprietari di cani, come prima i proprietari di case, quando s’incontrano si annusano a vicenda, si squadrano, esaminano la razza canina delle rispettive bestie che intanto si montano con guaiti e ululati che fanno cambiare marciapiede alle fifone come me. I proprietari di cani, proprietari anche di loft o mansardine lussuosamente arredati in Prati-e-Parioli (oggi, tutti gli attori e gli aristocratici HANNO almeno una casa lì), sono ora approdati all’ennesimo sport in gran voga (il tennis non “tira” più, una racchetta e due palle ce l’hanno tutti e il calcio è da coatti) anzi non proprio tanto in voga dal momento che Renato Pozzetto, appunto negli anni 80, ci fece pure un film e così pure Paolo Villaggio: MI FACCIO LA BARCA. Eh, sì, oggi per avere connotazione sociale degna la barca è in-dis-pen-sa-bi-le. Il cazza la randa di Fantozzi è divenuto il richiamo della foresta per una miriade di italiani già gommonisti e già affittuari di pattini che hanno letteralmente svaligiato i negozi di nautica per acquistare:a) mocassino griffato con suola in gomma, b) berretto bianco con visiera da ammiraglio e cordone oro, c) muta da sommozzatore, d) cerata da burrasca o tromba marina ma, soprattutto, E), IL CATAMARANO. Ecco, oggi, dire “mi sono fatto il catamarano” non equivale ad essere guardati con sospetto e tacciati di omosessualità, ma osservati con degno rispetto ed un tantinello d’invidia. E’la svolta sociale tanto attesa dopo il cinquantennio, quando si mette su pancetta, i figli sono grandi, la moglie rinsecchita dall’uso, il grigio alle tempie affascina le ventenni col complesso del padre assenteista, la pensione (cospicua) è vicina. Ed ecco allora i nostri baldi aspiranti con catamarano (“Primato”, “Il sorpasso”, “La burrascosa” (chi sarà, la fortunata “lei”?) e non più con pinne, fucile ed occhiali iscriversi al circolo velico della località dove è ormeggiata l’ambita creatura, sborsare una congrua somma per fregiarsi dell’onorifico titolo di “socio”(Semplice, Effettivo, Onorario) dei vari Club La Gomena, Il Paguro, Vivalavela, e partecipare a tutti gli effetti alle attività agonistiche che li vedono boccheggianti e asfittici alle gare, più rubizzi e allegri alle cene sociali, pimpanti alle regate con equipaggio composto generalmente da: innocui maschi (pochi) con la barba ma comunque ambìti da femminazze grintose, capello biondo schiarito dal sole e dalla salsedine, aria da “dure del mare” navigate, muta subacquea nera a metà coscia ma con zip sapientemente aperta sul davanti a mostrare florido seno (ovviamente che-si vede-e-non-si-vede) e che fa tanto Ursula Andress all’epoca di 007, oppure, se proprio vogliamo essere in vena di femminilità, (ma sì, non si sa mai), bikini che lascia scoperto altissimo culetto da mulatta afrocubana oppure floride tette che non vedono l’ora di traboccare, capelli satinati al cocco lasciati liberi al vento di poppa e sapientemente schiaffeggianti il viso (brunito dal sole), rughette agli angoli della bocca a denotare “che si è vissute” e soprattutto in mare, ginocchia (e lunga coscia) sapientemente flesse sia perché così la cellulite non si vede, sia per mantenere l’equilibrio mentre si maneggia il cordame dimostrando in tal modo di non essere inferiori ai maschi. Risata ovviamente sarcastica, che denota sprezzo del pericolo, speranza di essere scopate durante le manovre e nello stesso tempo collaudata consapevolezza che le probabilità saranno pochine perché i componenti maschili di detto equipaggio sono in genere o regolarmente ammogliati o svogliatamente sessuati oppure liberi professionisti con rogne da evitare, pena la carriera. IO? Io, mi leggo acidetta la cronaca sulle loro serate a base di pesce grigliato sulla spiaggia, sui record da festeggiare, sul compleanno del socio onorario, sulle menzionate veliste tutte rivestite per l’occasione e fasciate in aderenti abitini che però, più che il sedere, mettono in mostra l’età non proprio verde e…dov’è che sto leggendo? Mah, al solito posto…vale a dire nella mia postazione di sempre, vicina al rimessaggio delle barche e lontana dalla gente, dai luoghi comuni e dalla mondanità. Perché? Perché sono una FELICE ABITUDINARIA. Per questo, e non solo per i soldoni, sono rimasta zitella.

STELLAMARINA

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