Il poker non è solo un gioco di fortuna, ma anche di strategia, e uno studio dimostra che chi sa bluffare ha in genere un’intelligenza superiore alla media.
Quanti credono che per essere dei campioni di poker bisogna essenzialmente essere fortunati dovranno ricredersi: sono da poco stati resi noti i risultati di uno studio che dimostra come il saper bluffare sia una capacità che hanno le persone dotate di un quoziente intellettivo superiore alla media. Certo per vincere a poker anche la fortuna è importantissima, ma la fortuna deve essere accompagnata da specifiche abilità: questa considerazione può apparire ovvia a molti, ma adesso sembra sia stata scientificamente comprovata.
Lo studio in questione è stato condotto da Read Montague, un neuroscienziato del Baylor College of Medicine of Houston, negli Stati Uniti, ed è stato pubblicato circa un anno fa sul Proceedings of the National Academy of Sciences dell’Università di Houston. Montague ha studiato l’attività celebrale di 76 volontari chiamati a partecipare ad una sorta di gioco di ruolo, prestando particolare attenzione a coloro che stavano bluffando, e ha così dimostrato come, nelle persone che bluffavano, la parte del cervello denominata corteccia dorso laterale prefrontale risultasse più attiva. Ma ecco, nei dettagli, come si è svolto il gioco: ai volontari veniva di volta in volta chiesto di simulare la parte del venditore o quella del compratore in una sessantina di situazioni diverse. Ai compratori veniva dato il reale valore di un bene ed veniva loro chiesto di suggerire un valore al venditore, che a sua volta era chiamato a determinare il prezzo di vendita del bene stesso. Da questa specie di gioco sono emerse tre diverse tipologie di giocatori, distinguibili sulla base del tipo di strategia usata: gli “incrementalisti”, ossia coloro che, avendo fiducia nell’altro, davano al venditore il reale valore del bene; i “conservatori”, che davano al bene un valore medio cercando di massimizzare il più possibile il proprio guadagno; gli “strateghi”, ossia i giocatori che suggerivano un valore inversamente proporzionale a quello reale, cercando così di ingannare l’interlocutore. Questa ultima strategia, che potremmo paragonare a quella del bluff nel poker, è evidentemente la più complessa da attuare, poiché per avere successo usando questo metodo è necessario capire cosa pensa l’altro e persuaderlo che il valore suggerito è uguale o simile a quello reale, mentre in realtà non è così.
Montague ha anche preso in considerazione i QI dei giocatori, e ha notato come per appartenere alla categoria degli “strateghi” avere un quoziente intellettivo superiore alla media fosse una condizione essenziale. In percentuale, gli strateghi sono risultati il 10% del totale, e secondo il neuroscienziato in queste persone si è potuta notare una maggiore attivazione nell’area 10 di Brodman, area del cervello coinvolta nel pensare gli altri, e in una regione coinvolta nel controllo cognitivo, ossia la corteccia dorsale prefrontale.
In conclusione, questo studio dà una dimostrazione scientifica di quello che molti appassionati di poker hanno sempre intuito e sostenuto: il poker non è solo un gioco di fortuna, a differenza di altri tipi di gioco d’azzardo, e appartiene piuttosto alla categoria dei giochi di intelligenza. Per riuscire a bluffare – una condizione praticamente essenziale per essere dei campioni in questo gioco – sono infatti necessarie delle capacità intellettive particolari.
Articolo a cura di Francesca Tessarollo
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