Il recente scandalo che ha investito la Gran Bretagna sembra proprio essere una questione che non si ferma all’interno dei confini nazionali: in seguito al caso delle protesi PIP sembra che anche i filler siano stati messi sotto inchiesta in UK e nel resto d’Europa.
Nel Regno Unito sembra ormai che il passo successivo all’uso dei prodotti viso, concentrati anti età e sieri in gocce, sia comunemente il filler o il botox. Dopo l’allarme lanciato in UK per le protesi mammarie PIP (Poly Implant Prothese), realizzate con materiali tossici per l’organismo e sostanze potenzialmente cancerogene è quindi in arrivo un altro caso, che farà tremare le migliaia di donne che abitualmente si sottopongono a questi micro- interventi estetici, spesso fai da te.
Il caso delle protesi dell’azienda francese è stato un vero colpo per mezza Europa ed in Gran Bretagna, come in Venezuela, Brasile, Germania, Francia e Repubblica Ceca da pochi giorni i medici hanno cominciato a consigliare alle pazienti che hanno inserito questo tipo di protesi, la rimozione delle stesse. In Italia i medici che hanno effettuato la rimozione delle protesi, non hanno riscontrato nessun danneggiamento o nessuna rottura: le protesi sono risultate essere intatte in tutte le pazienti, anche se il governo francese si è impegnato a rimborsare circa 3.000 cittadine che si erano sottoposte all’operazione tramite il servizio sanitario pubblico e sta valutando di fare lo stesso per le clienti delle cliniche private.
Tornando all’ultimo capitolo della saga sugli scandali dell’industria chirurgica, pare che la sostanziale deregolamentazione in materia di filler e sostanze simili in Europa abbia creato non solo una giungla inestricabile di prodotti di questo genere, ma anche alla diffusione di questi trattamenti estetici presso centri non autorizzati, ad opera di personale poco o non qualificato e di semplici estetiste. Questo business, alla stregua della vendita profumi online o dell’acquisto di cosmetici, vive infatti grazie all’atmosfera di lassismo e di disinformazione che lo circonda.
Ben diversa è la regolamentazione di questi prodotti negli Stati Uniti, dove la FDA (Food And Drug) li considera alla stregua dei farmaci e li sottopone quindi alle quattro fasi di studi scientifici, compresa l’ultima che prevede test clinici controllati e di sicurezza( nonché di efficacia) su una parte di pazienti che volontariamente si sottopongono al test. Un dato molto semplice, che può aiutare a comprendere la gravità di questo fenomeno, riguarda proprio il numero di filler in commercio negli Stati Uniti: 6 in totale, contro i 160 attualmente utilizzati nei Paesi dell’Unione Europea.
In Europa infatti i filler nonché l’acido ialuronico, sono considerati “dispositivi medicali” ovvero identici (sotto il punto di vista della regolamentazione) ad alcuni prodotti acquistabili dall’industria del make up on line, creme anticellulite e simili; su questi prodotti è sufficiente infatti che il produttore apponga il marchio CE, che garantisce che i prodotti siano stati realizzati secondo determinati criteri di qualità e sicurezza, ma non fornendo alcuna prova di riguardo a test di verifica sulle sostanze e soprattutto non fornendo alcune informazioni su eventuali effetti collaterali a breve e lungo termine sull’organismo.
Serena Rigato
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