Il caffè è una bevanda antica, mitica e magica, che fa parte della vita quotidiana di tutti, ma al quale sono collegati anche molti ricordi magici della nostra vita.
Come poter dimenticare infatti la graziosa Holly di colazione da Tiffany quando, tutte le mattine – con il suo caffè da passeggio- faceva la quotidiana tappa di fronte alle vetrine luccicanti della famosa gioielleria di Fifth Avenue; oppure i più moderni ragazzi di Friends che si ritrovavano nel bar vicino casa, diventato col tempo il loro salotto, a sorseggiare enormi tazze di caffè americano; evocanti anche gli incontri periodici delle ragazze di Sex and the city, che di fronte ad una tazzina di espresso Italia, ad un drink o ad un the, ne approfittavano per scambiarsi consigli pratici e per filosofeggiare sulle rispettive esperienze sentimentali.
Sicuramente per gli italiani, parlare di caffè all’americana, di mocaccino e di tutte le altre bevande al gusto di caffè proposte dai colossi americani è un sacrilegio.
E pensare che il successo della catena Starbucks, nata nel 1971 a Seattle, è dovuto ad una svolta avvenuta nel 1983 quando Howard Schultz, amministratore delegato della catena, fece un viaggio in Italia, a Milano; affascinato dal vero e proprio culto del caffè nel nostro paese, fece ritorno in America accompagnato da un turbinio di idee che gli frullavano per la mente. L’entusiasmo iniziale, sulla scia dell’allora recente esperienza italiana, portò il gruppo ad allargare la propria offerta di prodotti, includendo, oltre alle miscele ed al caffè in chicchi, anche dessert e prodotti di pasticceria.
Il crescente successo del gruppo lo porta ad espandersi e ad aprire nuovi punti vendita, che oggi sono più di 16.600 dislocati in 49 Paesi; va però sottolineato che se il successo della compagnia è ragguardevole, così come l’attenzione che il gruppo ha rivolto alla creazione dei punti vendita, non lo è altrettanto la qualità del caffè proposto; Schultz infatti, non appena si accorge che il consumatore medio americano, più che alla qualità della torrefazione, era attratto da altro, decide di puntare alla creazione di una linea di prodotti che fossero in grado di incontrare i gusti della massa e non della nicchia di amanti del caffè italiano.
Gli sforzi della compagnia quindi si indirizzarono alla geo- localizzazione a macchia di leopardo dei punti vendita, prima nel territorio americano, poi negli stati limitrofi e pian piano in tutto il mondo, riuscendo a superare la sfera del business e facendo diventare i propri punti vendita una scelta di stile per i clienti; estrema attenzione fu inoltre data agli ambienti adibiti a punti vendita caffè, tutti dello stesso genere ed estremamente accoglienti, con ampie vetrate e sgabelli ovunque, costantemente al passo con i tempi grazie alle connessioni wi-fi, alle ampie poltrone e ad una vasta gamma di oggettistica e prodotti take-away.
Ovviamente in questa enorme operazione di marketing, qualcosa è necessariamente passato in secondo piano, ovvero la qualità delle bevande proposte. I prezzi incredibilmente lievitati si spiegano infatti con qualche semplice dato: il caffè incide solo il 5% sul costo della bevanda, il latte il 10%, il lavoro ed i costi fissi il 71%, l’11% è il profitto dell’impresa mentre il resto viene speso per spese varie.

Articolo a cura di Serena Rigato
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