Prima il mercato, poi la politica, ma ora anche i media cedono lo scettro di giudici della reputazione. La rete e i social network non perdonano. Parla Antonio Bettanini, esperto di Comunicazione Istituzionale e co-fondatore del blog indipendente Il Comunicatore Italiano.

1.Cluetrain Manifesto: la reputazione spazza l’immagine e l’identità. La considerazione o la stima pubblica di cui godiamo si chiama reputazione. Una parola in principio neutra che definisce la nostra credibilità all'interno di un gruppo sociale ma che rappresenta anche un rischio, reputazionale appunto, per un’impresa.

“It’s not about the money” è infatti la battuta di Wall Street 2 che Stefano Bartezzaghi cita ricordandoci che le poste reali del gioco finanziario sono affidabilità, credibilità, credito. In una parola proprio quella reputazione su cui vigila “Moody’s”, un’agenzia già dal nome poco rassicurante perché appunto lunatico. Il proverbio dice poi che ”un buon nome conserva anche al buio il suo splendore”, ma non insegna come conservarlo, questo buon nome. E, come detto, non è poi così facile e tranquillo nell’epoca della velocità e dei social network. Allora un po’ di storia.

E’ stato il Cluetrain Manifesto, con le sue 99 tesi, ad affermare che “ i mercati sono fatti di esseri umani, non di segmenti demografici”, che “i mercati sono conversazioni”. E siccome le conversazioni tra esseri umani hanno un suono e una voce umane, le persone che formano questi nuovi mercati, parlando tra di loro in rete, hanno capito che potevano ottenere più informazioni e sostegno parlando appunto tra di loro, piuttosto che chiedendo a chi vende.

La conseguenza è ora che il mercato online conosce i prodotti meglio delle aziende e diffonde velocemente in rete la propria opinione. Se immagine e identità erano informazione, ora reputazione significa riconoscimento reciproco, fiducia e consenso. E mentre il binomio immagine-identità si poteva programmare “a tavolino”, la reputazione si costruisce con l’ascolto, le azioni e la coerenza.

Da qui una rivoluzione degli atteggiamenti che coinvolge le aziende: devono appartenere anche’esse ad una comunità, fondata sulla comunicazione. E questa comunità è appunto il mercato che creiamo noi, noi impermeabili alla pubblicità, noi che vi ascoltiamo se voi (aziende) ci dite qualcosa, di interessante. Non sarà quindi un caso che nella classifica del Reputation Institute, fondato nel 1997 e presente in 32 Paesi nel mondo, è Google l’azienda che gode della reputazione più elevata.

Continua…

FONTE: Il Comunicatore Italiano

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