Il laboratorio dimenticato di Fabbri a Rimini
Nel suo laboratorio di decoratore a Rimini, si formò Elio Morri che sarebbe diventato un grande artista, facendo tesoro del suo insegnamento.
Elio Morri appena quindicenne muove i suoi primi passi di scultore nel laboratorio di Filogenio Fabbri decoratore – plasticatore di Rimini, prima di frequentare l’Accademia di belle arti Albertina di Torino, poi quella di Ravenna e infine quella di Bologna.
Morri farà tesoro dell’esperienza acquisita frequentando la bottega di questo cementista eseguendo nella sua lunga carriera numerose sculture e pannelli sfruttando proprio le doti plastifichi del cemento.
Filogenio Fabbri a partire dal primo Novecento, produce architravi e cornici scolpite per finestre e porte eseguite con grande maestria, oltre a balaustre, fregi, rilievi e altri manufatti per l’edilizia usando come materia di base il cemento.
La città in quegli anni era gia meta di vacanze a Rimini, anche per la nascita dei primi stabilimenti termali e dei primi hotel 4 stelle Rimini
Le testimonianze di questa attività stilisticamente riconducibile a un tardo liberty, sono ampiamente visibile nelle ville al mare e nelle case in città e nell’immediata periferia di Rimini.
Ma la definizione di cementista risulta limitativa come giustamente afferma Pier Giorgio Pasini, parlando di lui nell’introduzione del catalogo pubblicato a Ramberti Arti Grafiche di Rimini, in occasione della mostra Le sculture di Elio Morri, nella Sala delle Colonne di Rimini nel 1993, in quanto Fabbri si rivela scultore nel senso più vero della parola.
Nell’estate del 1913 viene organizzata a Rimini la IV Mostra d’arte italiana con tre sale dedicate rispettivamente a Noberto Pazzini, Nicola Casciaro e Raul Viviani e la partecipazione di artisti del calibro di Silvio e Ottorio Bicchi, Carlo Corsi, Emilio Pasini, Giovanni Camprini, Vittorio Guaccimanni, Flavio Bertelli, Emilio Notte, Antonio De Carolis, Luigi Conci oltre ai riminesi Addo Cupi ed Emo Cuccurugnani che ancora non si era accorciato il cognome in Curugnani, per citarne alcuni.
Fra gli espositori c’è anche Filogenio Fabbri con due bassorilievi e un Sigismondo in gesso.
Il profilo del Sigismondo di Rimini, quello della moglie Isotta e altri soggetti malatestiani eseguiti in cemento e altri materiali, erano in produzione per essere impiegati come elementi decoratici per l’edilizia dell’epoca.
Nel 1993 partecipa ai lavori di restaurazione Torre dell’Orologio in piazza Tre Martiri restaurando i fregi in terra cotta con i segni zodiacali del calendario solare.
Anche nel Cimitero monumentale di Rimini ci sono i segni della sua attività nelle edicole delle tombe delle famiglie di Duprè, Ravaglioli, Marchetti e Migliori dove due angeli altorilievo di attimo livello ne mettono in evidenza l’abilità scultorea.
Ma la sua fama è principalmente legata alla progettazione e costruzione di fontane come quella di Bellaria, di Viserba in fondo a via Roma di fronte al mare, nel giardino di Villa Solinas in viale Principe Amedeo e quella più famosa anche per le sue vicissitudini, la Fontana dei quattro cavalli nel parco Federico Fellini di Rimini inaugurata il 29 giugno del 1928.
Nonostante sopravviva ai terribili bombardamenti che distruggono Rimini nel 1944, non ha scampo: nel 1949 viene abbattuto Kursaal e nel 1954 la vasca della fontana mentre i 4 cavalli si salvano per l’intervento dei Vigili del Fuoco.
Grazie a Umberto Bartolani e alla figlia di Filogenio, Fausta, nel 1983 la fontana viene ricollocata nella sede originaria.
La memoria di Filogenio Fabbri e della sua arte sopravvivono grazie alle precise e puntigliose ricerche condotte da Michela Cesarini, che ha curato il catalogo filmato Filogenio Fabbri e i suoi leoni a guardia della Fornace nell’ambito della mostra del 2007 nel Museo della Città C’era una volta, a Rimini, la fornace Fabbri a cura di Manuela fabbri ed è anche autrice del capitolo Artefici del ventennio: nomi noti e meno noti dell’arte riminese negli anni Trenta del Novecento volume Alea iacta est Giulio Cesare in archivio curato da Cristina Ravera Montebelli.
Forse un’opera unitaria che raccoglie le carte e completi l’iconografia delle sue opere potrebbe essere il giusto riconoscimento per un artigiano che tanto ha prodotto senza cedimenti di qualità.
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