L’arte è sempre stata una danza tra il visibile e il vissuto, una coniugazione esistenziale che l’artista bolognese Giovanna Caimmi ha colto esteticamente in una mostra al Museo della Città di Rimini. Wasserijunger il titolo che in tedesco nomina la libellula, ma che letteralmente significa “zitella d’acqua”; una mostra ove l’acqua e la neve sono un basso continuo di immagini – eventi su tele di cui una di notevole dimensione dipinta a olio con interventi sovrapposti e dinamici di proiezione di un diorama – un’opera che evoca il film “Stayer” di Tarkovskij – e immagini fotografiche. Iniziativa promossa a tutto campo in città infatti molti hotel a Rimini si sono promossi grazie all'evento pubblicando sul web un elavato numero di offerte hotel Rimini La rappresentazione è frastagliata, vaga, è una sintassi non unitaria, come può essere il sogno e il ricordo, ma che esprime del film russo lo spirito, una desolazione tutta nordica. Ed è il raccordo tematico tra la delicatissima scultura dell’artista di una libellula in marmo bianco racchiusa in una bacheca di vetro e l’acqua; l’acqua che pervade l’ambiente naturale coi correlativi neve e ghiaccio in tutti i dipinti e nelle proiezioni del diorama e di un videoproiettore – un contrasto formale tra la leggerezza del gibigiana equoreo e onirico e la presenza ossessiva e minacciosa di cani e orsi polari. L’artista, in questo revival del cinema inquietante di Tarkovskij, ha giocato carte diffidi cioè l’interpretazione di un sentire e di un mondo, ma vincenti. Giovanna Caimmi è docente all’Accademia di belle arti di Bologna. Alcuni sue mostre personali: 2000 Galleria Cristofori, Bologna; 2003 Galleria Santo Picara, Firenze; 200 Triennale arte sacra, Lecce; 2007 Officina delle arti, Reggio Emilia; 2008 Roberg arte contemporanea, Roma; 2012 Visionnaire Gallery, Milano. La mostra chiuderà il primo luglio. “Tu sei un nome che respira e muove” è invece il titolo della mostra collettiva al piano terra del Museo della Città. Il titolo è un verso della poetessa Maria Angela Bedini e ispira il progetto dell’esposizione come una riflessione sui campi ampi e complessi del lavoro artistico, lavoro che trae origine dalla forza evocatrice e creatrice dei mone e delle parole delle cose e delle persone con cui viviamo o incontriamo, i nomi della vita. Così, sono state scelte nuove personalità, artisti di diversa provenienza per confrontarsi col loro linguaggio formale con lavori che sono dediche a persone o luoghi, o idee, territori reali o immaginari. Sono archivi di manufatti, oggetto delle più svariate forme o generi, reali o irreali, archivi labirintici e frammentari di memorie, di pensieri, un complesso intreccio di identità e di narrazioni tutti racchiusi in bacheche come invitanti anfratti del Tempo. In particolare, fra tante presenze, curiosi vasi di ceramica con stranissimi tappi; un’infinitudine di lavori, fotografie, disegni, polvere nera, crani, foglie di carta assemblate come lontananze; fotografie di fossili, di piante selvatiche e vera terra; filamenti esigui e uno spolverio di farfalle leggero come il respiro; foglie e piante essiccate, costruzioni stranissime in metallo lucido, mini architetture fantascientifiche. Gli artisti che hanno partecipato all’evento sono: Andrea Salvatori, David Casini, Dacia Manto, Emanuela Ascari, Franco Pozzi, Lucia Baldini, Nicola Gobbetto, Paola Gonzato e T-Yong Chung. Il progetto della mostra asce da un’idea di Franco Pozzi e ha preso forma e titolo con la collaborazione di Dacia Manto. Anche questa mostra chiuderà il primo luglio.

0 commenti:

Posta un commento

 
Top