- © Cristiano Bonassera
Il simbolo cittadino di Amazon è uno schizzo giallo su una piccola costruzione che affaccia su una piazzetta dove i ragazzi di Seattle bevono caffè e discutono di futuro. Accanto si ergono due grattacieli chiamati «Day 1 South» e «Day 1 North», in omaggio al principio che quando si lavora su Internet è sempre il primo giorno di scuola. Una filosofia che ha premiato l’azienda nata nel 1995 come libreria online e diventata, nonostante bolle scoppiate e crisi economiche, leader dell’e-commerce e pioniera dell’editoria digitale. Negli ultimi cinque anni il titolo di Amazon è cresciuto del 397%, facendo del suo fondatore, il 48enne originario del New Mexico, Jeff Bezos, uno dei 30 uomini più ricchi del mondo. La scorsa settimana il settimanale «Forbes» ha ripubblicato una copertina del 1998 che ospitava i tredici uomini d’azienda da tenere d’occhio: l’unico che si è salvato nella Spoon River dell’innovazione — Jerry Yang di Yahoo!, Halsey Minor di Cnet, Larry Rosen di N2K — è Bezos, al vertice di un’azienda che ha registrato un aumento di fatturato del 34% nel primo trimestre del 2012 e una crescita di dipendenti del 67% nel 2011.
L’appuntamento è alle 15.30. Lo aspettiamo in una stanza con un divano di pelle marrone, sedie spaiate, moquette grigia e qualche pasticcino in un vassoio di carta. Lo stile «Silicon Valley» è lontano: nessun biliardino, nessuna area di ricreazione per i dipendenti, nessun menu differenziato con pallini colorati in mensa. La parola d’ordine di Amazon è frugalità, come ripetono i suoi top manager che girano il mondo in economy class e non superano i 175 mila dollari di stipendio all’anno (al netto dei bonus, ottimi, delle azioni). Bezos, camicia celeste fuori dai pantaloni e jeans chiari, arriva sorridente. Chi ha letto sui giornali della sua contagiosa risata, aspetta solo il momento in cui si manifesterà in tutta la sua potenza acustica. Accade subito, quando ricorda che il suo senior vice president international, Diego Piacentini, è un italiano.
Amazon.it è sbarcato in Italia nel novembre 2010. Un anno dopo c’è stato il lancio del lettore di ebook Kindle e delle piattaforme di vendita di ebook e di self publishing. Che bilancio fa dell’operazione?
«Il business in Italia sta crescendo a una velocità che non potevamo immaginare. Siamo molto contenti».
Che idea si è fatto dei lettori italiani?
«Per noi non esistono differenze tra i consumatori. In Italia come in Giappone o negli Stati Uniti tutti vogliono le stesse cose: prezzi bassi, grande selezione e velocità di consegna. L’attenzione al cliente è la stessa in Italia come negli Usa. Quando abbiamo cominciato la nostra attività in Giappone abbiamo chiesto a un consulente di aiutarci a capire le differenze. Ci disse: “Badate che i giapponesi non scriveranno mai le recensioni dei libri sul vostro sito”. Sbagliavano perché i giapponesi, ovviamente, proprio come tutti gli utenti del mondo, scrivono recensioni su Amazon».
Siete considerati un nemico da buona parte del mondo editoriale, che sta provando a contrastare il «monopolio» di Amazon nel mondo degli ebook, anche ricorrendo a provvedimenti legislativi per impedire sconti sui libri o ad accordi per provare ad alzarne i prezzi. È notizia di questi giorni la partnership tra Microsoft e Barnes & Noble, la catena americana di librerie che produce Nook, il tablet per gli ebook concorrente di Kindle. Recentemente la giustizia americana ha accusato Apple e cinque tra i principali editori degli Stati Uniti di aver costruito un cartello per alzare il prezzo degli ebook. Qual è la sua posizione rispetto alla vicenda?
«Il mio punto di vista è molto semplice: gli ebook devono essere più economici dei libri di carta. C’è così tanta efficienza in più nel sistema di produzione digitale, che devono necessariamente essere più convenienti. Ci tengo a precisare che Amazon ha a cuore il libro di carta, fosse solo perché per noi la distribuzione rappresenta un’entrata importante. Tuttavia sono convinto che i libri digitali diventeranno dominanti nel futuro. Nel business editoriale ci sono solo due attori ad avere il futuro garantito: i lettori — che con gli ebook risparmiano moltissimo, hanno accesso alla loro libreria virtuale in ogni momento e possono scegliere tra una varietà maggiore di titoli e generi — e gli autori, a cui paghiamo il 70% dei diritti. Tutti gli altri devono lavorare per assicurarsi un futuro. L’ecosistema che ruota intorno al libro dovrà adattarsi al nuovo e per farlo bisogna sforzarsi di creare valore aggiunto. Non si vince mai se si combatte contro il futuro: il futuro vince sempre».
Dal 10 al 14 maggio in Italia ci sarà a Torino il Salone internazionale del libro, quest’anno dedicato alla primavera digitale. Che messaggio lancia a editori, lettori e scrittori che si riuniranno lì per discutere del futuro dell’editoria?
«Vorrei dire agli editori che gli ebook non rappresentano la fine del testo tradizionale: i libri di carta non andranno mai fuori stampa o fuori catalogo. Ma certo devono essere gestiti meglio. Le case editrici dovrebbero razionalizzare l’obiettivo di tiratura: a volte si stampa troppo, a volte troppo poco. In entrambi i casi è un processo dispendioso e poco funzionale. Quello che fanno i gatekeeper, i filtri del mondo editoriale — anche non intenzionalmente — è restringere l’innovazione. Gli esperti pensano di sapere cosa funzionerà e cosa non funzionerà. Un esperto è costretto a dire no a certi esperimenti, quando gli sembrano troppo azzardati, mentre suggerirà di investire moltissimo in altri, favorendo la stampa di migliaia di copie di un libro che ritiene giusto. Sulla piattaforma di pubblicazione di Kindle ogni esperimento diventa lecito. Questo è possibile perché non ci sono tutti i costi del libro fisico: stampa, personale di vendita, distribuzione. Ci sono fantastiche opportunità per tutti in questo nuovo modello. L’importante è stare concentrati solo sui lettori, chiedersi come migliorare la qualità della loro lettura. Gli ebook sono certamente una strada. Con Kindle un libro è pronto da leggere in sessanta secondi, cosa che non succederà mai con un libro di carta. I lettori possono cambiare la grandezza del font. Se non conoscono una parola nel testo, riescono a scoprire il significato con un click; e ancora è possibile portare con sé una libreria intera. I nuovi tablet utilizzano tecnologia wireless e 3G: questo significa essere sempre connessi e, quindi, avere accesso alla libreria virtuale in qualsiasi momento».
Lei usa i social media?
«Il meno che posso. Già ilmio lavoro si basa sull’interazione, non ho bisogno di altra interazione… Il tempo che mi resta cerco di dedicarlo a mia moglie e ai miei figli».
Su Twitter, il social network da 140 caratteri, è diventato un tormentone l’hashtag nostalgico «il profumo della carta». Crede sia davvero un valore per il lettore?
«Quello che posso dire basandomi sull’esperienza americana e inglese, dove i Kindle sono presenti da tempo nel mercato, è che le persone amano la modalità di lettura offerta dai tablet. Noi abbiamo deciso di costruire un device che non sia il centro dell’esperienza di lettura: l’oggetto scompare e il lettore è proiettato nel mondo dell’autore».
Chi è il suo scrittore preferito?
«Se proprio devo dirgliene uno, scelgo Louis Begley».
Mettiamo che Begley abbia degli ebook la stessa opinione di Jonathan Franzen.
«Di chi?».
Jonathan Franzen, l’autore di «Libertà», delle «Correzioni»…
«Mi ricordi la sua idea…».
Franzen ritiene che gli ebook danneggino la società, che l’unica tecnologia valida sia quella del libro tascabile. Poniamo che Begley, autore di «A proposito di Schmidt», la pensi come Franzen: cosa gli direbbe per fargli cambiare idea?
«Anche se penso di avere ragione non proverò mai a convincere nessuno. Tuttavia se fossi uno scrittore, amerei il mondo degli ebook perché posso sperimentare di più oltre che essere pagato meglio. Gli autori godranno della diversità che li circonda e delle maggiori entrate economiche, così come i lettori spenderanno meno soldi e potranno beneficiare della varietà culturale. Nella classifica dei 100 libri Kindle più venduti su Kdp (Kindle direct publishing, la piattaforma di self-publishing Amazon ndr) sedici sono esordienti».
In tanti pensano che per completare la rivoluzione digitale dell’editoria — iniziata con il self-publishing — ci sia bisogno di assicurare anche la qualità delle pubblicazioni. Amazon potrà svolgere questo ruolo, diventando un editore a tutti gli effetti?
«Abbiamo un ufficio a New York dove lavorano i migliori agenti letterari del mondo, cerchiamo autori, commissioniamo libri, li paghiamo, visioniamo e correggiamo le opere. Facciamo, insomma, il lavoro di editori a 360 gradi. Ma credo che sia un altro il modello destinato ad avere successo con Amazon. E penso ai piccoli editori. Nel mondo degli ebook un «piccolo» non deve preoccuparsi né della stampa né della distribuzione. Le uniche preoccupazioni per una casa editrice riguardano la parte editoriale e il marketing: sono queste le due competenze richieste nel mondo degli ebook. Io vedo una nuova arena dove piccoli gruppi si uniranno a bravi pr e professionisti del marketing e, come ho detto, potranno pagare di più gli autori perché non avranno tutti i costi del business editoriale tradizionale. Non è certo la qualità che scompare con gli ebook, tutto quello che interessa davvero al lettore non andrà via».
Clay Shirky, professore della New York University e studioso di newmedia ha detto: «Le istituzioni tendono a preservare i problemi per cui sono loro stesse la soluzione». È d’accordo?
«C’è tantissima saggezza in questa frase. Le istituzioni tendono alla conservazione. Proviamo a fare un paragone con gli esseri umani: se una persona non fa mai esercizi o stretching, alla lunga i suoi muscoli si atrofizzeranno. Se, invece, fa sempre lo stesso esercizio tutti i giorni, si svilupperà solo un muscolo. Ecco cosa succede alle istituzioni quando il loro business è stabile per un lungo periodo di tempo. Se l’ambiente circostante cambia, si adattano con difficoltà. Questo è il motivo per cui Amazon si pone sempre nuove sfide. L’allenamento ci rende flessibili. È come fare yoga ogni giorno! Quattro anni fa abbiamo lanciato Kindle, ma il progetto è cominciato tre anni prima del debutto: ci abbiamo lavorato per 7 anni. Ora sta portando molte soddisfazioni, ma ci è voluto del tempo. L’unica cosa che sapevamo era che i lettori hanno bisogno di buoni hardware: così abbiamo studiato tanto, fatto tantissime prove per renderlo possibile e questo ci ha tenuto i muscoli allenati. Serve pazienza! I missionari costruiscono migliori prodotti dei mercenari: se metti nel tuo lavoro la pazienza dei missionari, farai grandi cose».
I media amano paragonarla al fondatore di Apple Steve Jobs.
«È un enorme complimento per me. Aveva standard molto elevati e un cervello sempre giovane. È un onore essere paragonato a lui».
Cosa pensa della crisi dei giornali di carta?
«La buona notizia è che le persone che scrivono bene, non avranno mai difficoltà a trovare un lavoro. I dispositivi mobili e i tablet sono una grande opportunità per quotidiani e magazine. Se dovessi dare un consiglio a un’azienda editoriale in crisi direi di puntare sugli abbonamenti online. Se 10 anni fa i giornali avessero investito negli abbonamenti, oggi le loro condizioni di salute sarebbero migliori. Va bene sperare che la pubblicità sul web diventi importante ma io sono per trovare un equilibrio tra pubblicità e finanziamento dei lettori».
Twitter @serena_danna
Serena Danna