Tratto da QualitiAmo - La Qualità gratis sul web

Nell’Approfondimento di questa settimana analizzeremo meglio un discorso che avevamo accennato lunedì scorso nel forum: quello della credibilità delle certificazioni.

Prendendo in esame gli atti del convegno organizzato dall’AIOICI (Associazione Italiana Organismi Indipendenti Certificazione e Ispezione) che si è appena concluso e che si intitolava “Certificazione di Sistema: in quale misura soddisfa le aspettative dell’utenza? Quali sono le strade per il miglioramento?”, cercheremo di capire qual è il futuro della certificazione e della consulenza nel settore della Qualità in Italia.

Gli interventi più significativi del convegno sono stati quelli di:

- Giovanni Olivieri (Presidente di AIOICI)
- Ettore Stanghellini (Vice Presidente AICQ – Associazione Italiana Cultura Qualità)
- Claudio Barella (Vice Presidente APCO – Associazione Professionale dei Consulenti di Direzione e Organizzazione)
- Giovanni Milesi (Consigliere Consorzio Qualità di Assolombarda)

L’intervento del Presidente di AIOICI ha sottolineato come le certificazioni volontarie di sistema stiano crescendo sia in Italia sia nel mondo.
Il business del 21° secolo, infatti, richiederà sempre più verifiche di conformità condotte da terze parti indipendenti a protezione dei mercati e dei consumatori.

I servizi di verifica, però, per essere davvero efficaci devono essere credibili ed essere erogati da professionisti capaci oltre che avere un valore aggiunto tangibile.
Il grosso problema connesso alle certificazioni volontarie è, invece, proprio che la percezione dell’utenza è piuttosto negativa a questo riguardo e che non vemgono fornite certezze e rassicurazioni.

Ettore Stanghellini di AICQ ha sottolineato come questo tema sia complesso e articolato per molteplici cause tra loro interconnesse.
A suo giudizio, infatti, alcuni dei problemi che oggi dibattiamo, hanno le radici nell’origine delle norme.

Molti ricorderanno che le prime norme sull’Assicurazione Qualità risalgono agli inizi degli anni '60 con le norme MIL che riguardavano il settore militare. Negli anni 70 e 80, nello stesso settore, vennero emesse le norme AQAP della NATO, che ricalcavano le precedenti, seguite dalle norme ANSI nel settore nucleare.

Tutte queste norme descrivevano, con piccole differenze tra loro, modelli di Assicurazione Qualità ed erano destinate alle imprese operanti in settori ad elevato rischio.
In questi settori il fornitore doveva garantire, oltre al Controllo della Qualità dei prodotti forniti, anche l’adeguatezza della propria struttura organizzativa, la chiarezza delle responsabilità, la disponibilità delle procedure necessarie per la conduzione della qualità; in una parola il fornitore doveva garantire di possedere un adeguato Sistema Qualità, al fine di fornire assicurazione della sua capacità di continuare a fornire prodotti conformi.

Un altro aspetto implicito di queste norme era la loro destinazione alle aziende operanti nel settore industriale. Il rispetto dei requisiti del modello era sostanzialmente obbligatorio per i fornitori principali.

In parallelo alla stesura delle norme, si era formata una categoria di professionisti con competenza specifica nella verifica del rispetto delle stesse; la verifica era molto accurata e mirata a dare evidenza della conformità con i requisiti della norma.

Alla fine degli anni '70 sono maturi i tempi per l’allargamento al settore “civile” (non solo ad alto rischio) dei concetti e dei requisiti dei Sistemi Qualità. Nascono in questi anni le norme BS 5750 e viene costituito, nella International Standard Organisation, il Comitato Tecnico 176 con l’incarico di preparare le norme su Sistemi Qualità: esse vedranno la luce nel 1987 con il nome di famiglia ISO 9000.

Queste norme, destinate alle imprese di qualsiasi tipo e dimensione, non sono quindi il risultato di una indagine presso i potenziali utilizzatori sulle loro reali esigenze ( come invece avverrà con le Vision 2000), ma ricalcano le norme esistenti, anche se esse erano state pensate per settori e scopi differenti.

Le norme ISO 9000 del 1987 risentono pesantemente della loro origine e dei loro obiettivi con inevitabili e importanti conseguenze:

- i requisiti che contengono, sono, di fatto, poco adatte alle imprese medie e piccole (che costituiscono l’ossatura delle imprese italiane);
- sono poco adatte alle imprese di servizio;
- presuppongono, anche se in modo implicito, una struttura organizzativa per funzione;
- pongono particolare attenzione al rispetto delle regole formali (presenza di numerose procedure, evidenza di verbali ecc)

È questo il modello di Sistema Qualità al quale si sono dovute adeguare le imprese italiane che si volevano certificare.
Poiché le norme hanno una vita media di 10/12 anni, questo modello è rimasto in vigore fino al 2000, anche se nello stesso periodo la struttura e le caratteristiche delle imprese italiane hanno subito un cambiamento molto rilevante.

Questo fatto risulterà evidente anche dal giudizio che sarà dato delle norme ISO 9000:87 da parte dei “clienti”, nell’indagine effettuata nella fase preliminare della stesura delle norme vision 2000, che porterà a modifiche profonde dei principi e dei requisiti principali.
Ma erano già passati più di 10 anni dalla nascita delle prime norme ed erano stati rilasciati quasi 50000 certificati di conformità alle norme.

Nello stesso periodo, cioè a cavallo tra gli anni '80 e '90, avveniva in Europa un altro fenomeno che ha avuto un importante impatto sulla diffusione delle norme sui Sistemi Qualità che erano stati appena emessi e che ha creato delle esigenze e delle aspettative: l’invasione dei mercati europei da parte dell’industria giapponese, che pone tra i suoi punti di forza la qualità dei prodotti.
Risale a quegli anni il successo mondiale dell’industria giapponese nei settori della fotografia, della motoristica, dell’informatica, solo per citare i settori più importanti. Non vi è settore industriale nel quale il Giappone non proponga prodotti che, a parità di prezzo, hanno prestazioni equivalenti o migliori e affidabilità superiore.
Qualcuno ricorderà che le industrie giapponesi parlavano di difettosità in ”parti per milione”, quando in Europa si parlava di difettosità in “parti per mille”. Come risultato di questo approccio, nel giro di pochi anni interi comparti industriali sono scomparsi dalla scena europea.
Risale a questo periodo anche la normativa europea per la libera circolazione delle merci all’interno dell’unione europea detta “nuovo approccio” che fa riferimento in parte alle norme ISO 9000.

È in questo quadro che compaiono sulla scena le norme ISO 9000:87.
Era logico che alcune imprese vedessero nelle norme ISO 9000 una soluzione o almeno un aiuto per migliorare i propri prodotti e competere con le imprese d’avanguardia. Altre imprese (ed erano la maggioranza) hanno visto la certificazione come un biglietto da visita per dimostrare che il livello di qualità dei loro prodotti e delle loro imprese era a pari a quello delle imprese giapponesi.
Siamo agli inizi degli anni '90 e certamente qualcuno ricorderà le polemiche sollevate da alcuni produttori che pubblicizzavano la propria certificazione di sistema come un marchio di qualità di prodotto. Si trattava ovviamente di casi limite, che descrivevano però molto bene il desiderio di mettere in evidenza la qualità dei propri prodotti e la confusione che si era creato tra qualità di sistema e qualità di prodotto, tra certificazione di sistema e efficacia del sistema stesso, tra le attese delle imprese e la realtà.

Siamo ormai alle soglie del 2000 e sono in preparazione le norme del progetto Vision 2000, che rappresentano una rivoluzione rispetto alle precedenti. In particolare:

- la ISO dedica molti mesi ad una indagine sulla soddisfazione dei clienti delle norme precedenti e sulle loro esigenze in questo settore, capovolgendo l’approccio di poco partecipativo delle norme precedenti;
- viene data adeguata evidenza ai principi che stanno alla base dei requisiti;
- viene definito che l’obiettivo primario del modello proposto è l’efficacia del sistema e non solo l’assicurazione;
- Viene ridotto il numero delle procedure documentate;
- Viene dato adeguato rilievo alla misura della soddisfazione dei clienti;
- Viene dato grande rilievo ad un approccio dell’organizzazione non più orientato a produrre molto (approccio per funzione), ma a produrre quello che soddisfa le esigenze dei clienti (approccio per processi);
- Viene dato adeguato rilievo alla definizione degli obiettivi ed al miglioramento continuo

Si tratta di una svolta importante, ma che entra in vigore in modo definitivo solo alla fine del 2002, cioè ben 15 anni dopo l’uscita della prima edizione delle norme (che a loro volta come si è visto risalivano ai 15 anni precedenti); questo fatto ha segnato in modo pesante lo sviluppo della certificazione di sistema, fornendone un’immagine molto burocratica, formale e destinata alle grandi imprese industriali.

Con la sua relazione, Stanghellini ha esaminato anche un altro dei temi proposti dal convegno: la reale corrispondenza dei certificati emessi dai diversi operatori.
Il tema proposto rappresenta solo la punta dell’iceberg, perché il problema reale è l’adeguatezza e l’omogeneità delle valutazioni rispetto agli obiettivi della norma attuale. Le certificazioni sono, infatti, figlie dei risultati delle verifiche ispettive che a loro volta sono figli della competenza dei valutatori.

Qualsiasi valutazione, sia di fenomeni fisici sia di comportamenti di persone o di organizzazioni, deve utilizzare “strumenti” adeguati al tipo ed alle tolleranze della valutazione da eseguire; quindi il valutatore di sistema deve essere “adeguato” alla norma di riferimento e deve possedere una competenza che gli consenta di fornire all’organismo di certificazione i dati necessari per esprimere valutazioni corrette sull’efficacia dei processi dell’organizzazione valutata.

Il passaggio dalle norme ISO 9000:1987 a quelle del 2000 è stato difficile ed ha richiesto molti anni, ma certamente l’adeguamento della competenza di migliaia di valutatori ne richiede molti di più. Questo problema non può ancora essere considerato risolto, perchéé capita ancora oggi di vedere dei verbali di verifiche ispettive nei quali i rilievi riguardano principalmente aspetti formali delle norme, con scarsi riferimenti all’efficacia e con modesto valore aggiunto per le imprese.

La relazione di Claudio Barella di APCO ha proposto, a completamento del discorso, tre riflessioni:

- Le PMI sono disposte a lasciare spazio ai Professionisti nella consulenza di management per costruire insieme Sistemi di Gestione indirizzati effettivamente al miglioramento?
- Il Professionista nella consulenza di management è qualificato per costruire insieme alle organizzazioni, Sistemi di Gestione efficaci, efficienti ed orientati al miglioramento?
- I Professionisti nella consulenza di management, le imprese e gli organismi di certificazione sono determinati a migliorare il Sistema della Certificazione?

APCO ha voluto focalizzare poi l’attenzione sulle norme UNI 10771 "Consulenza di Direzione - Definizioni - classificazioni - requisiti e offerta del servizio" e UNI 11067 "Criteri di erogazione e controllo del servizio" che forniscono le basi per la qualificazione per migliorarsi e soddisfare meglio l’utenza.

Da una recente ricerca condotta da APCO, il profilo del consulente di management sta cambiando.
In un momento di difficoltà competitiva per il nostro Paese, l'impresa rimane il luogo dove introdurre ed implementare innovazione. Al consulente si chiede qualcosa di nuovo, che investe, tra l’altro, il sistema delle competenze, il modello organizzativo di erogazione dei servizi di consulenza, il livello di coinvolgimento con il sistema cliente.

Per scaricare l’indagine APCO relativa all'anno 2006, vi basterà andare sul sito dell'UNI.

L'intervento di Assolombarda, attraverso le parole di Giovanni Milesi, conclude questa nostra riflessione rappresentando la voce delle imprese, in particolare di quelle di piccola – media dimensione.

Milesi ha sottolineato come il sistema italiano della certificazione presenti indubbiamente alcuni punti critici:

- vi è stato – almeno nel comparto manifatturiero – un forte rallentamento nella crescita del numero delle certificazioni rispetto a qualche anno fa: segno che, almeno in diversi casi, le aziende non sono state “fidelizzate” alla certificazione o hanno avuto difficoltà a percepirne il valore aggiunto; il che è anche confermato da un aumento delle rinunce alla certificazione;
- per converso, in alcuni settori vi èè stata negli ultimi anni una vera e propria corsa alla certificazione, a seguito di generalizzate richieste dei clienti e soprattutto a causa di alcuni provvedimenti legislativi che hanno reso di fatto “obbligatoria” la certificazione (ad es. nel campo degli appalti pubblici). Ciò ha prodotto a sua volta un inasprimento della concorrenza tra gli organismi di certificazione.
Il problema sta proprio qui, in una competizione tra gli enti di certificazione basata sui prezzi e non sul contenuto di “servizio”. Questi organismi cioè puntano sovente a procurarsi nuovi clienti, anche ovviamente sottraendoli ai concorrenti, solo in virtù di una corsa al ribasso delle tariffe; il che non può che andare a discapito della qualità delle prestazioni offerte alle imprese. In più casi – a conferma di ciò – le aziende segnalano la difficoltà di percepire un superiore livello qualitativo o di affidabilità delle imprese certificate rispetto a quelle che non lo sono;
- riguardo al sistema di accreditamento, e al di là del grande impegno indubbiamente profuso in questi anni, sembra di poter constatare una carenza di efficacia a due livelli: disomogeneità di giudizio dei valutatori (da cui l’impressione di un sistema magari bene impostato, ma non perfettamente controllato); insufficiente azione dissuasiva e repressiva nei confronti delle azioni poco corrette da parte di taluni organismi di certificazione (ad es. circa il numero di giorni/uomo dedicati effettivamente a ogni azienda ai fini del rilascio della certificazione, o in merito all’annosa problematica della commistione consulenza/certificazione);
- accanto all’adeguatezza degli enti di certificazione e di accreditamento, pari importanza ha (in positivo ma purtroppo anche in negativo) il ruolo giocato dai consulenti nell’orientare ed assistere le PMI nel percorso relativo alla Qualità;
- infine, duole constatare che la Qualità, in Italia, non è mai stata considerata (a differenza di altri Paesi europei) un elemento strategico di politica industriale; i vari Governi hanno, almeno sin qui, dimostrato uno scarso interesse a definire una precisa politica per la promozione dell’eccellenza;

Ma quali sono, dunque, le condizioni per un rilancio della Qualità e della certificazione? Al convegno AIOICI ne sono state individuate tre:

- è necessaria innanzitutto una crescita della cultura del nostro sistema di imprese. Gli imprenditori devono comprendere che la Qualità non può essere considerata un “binario parallelo” da spolverare al momento dell’audit dell’organismo di certificazione, ma deve diventare il cardine del sistema di gestione dell’azienda. Altrimenti continueremo ad avere nel nostro Paese – come è stato giustamente osservato – molti “praticanti formali”, ma pochi “veri credenti” nella Qualità;
- in un tavolo che deve appoggiarsi su quattro gambe, occorre che questo necessario salto culturale delle aziende sia adeguatamente accompagnato e sostenuto dall’azione degli enti di certificazione e degli enti di accreditamento, così come dei consulenti: a tutti questi soggetti si richiede competenza, professionalità e un rigore temperato dalla giusta flessibilità nell’approccio e nell’attività operativa;
- infine, il Sistema di Gestione per la Qualità dovrebbe: da un lato, divenire sempre più “lo” strumento dei vertici aziendali (integrandosi eventualmente anche con i Sistemi relativi a Sicurezza, Ambiente, Etica, ecc.); dall’altro, farsi carico anche della qualità dei prodotti e dei servizi, alla quale clienti e utenti sono più immediatamente sensibili.

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