Giuseppe Capogrossi (pittore, laureato in giurisprudenza)
Jacopo Savi (avvocato, mediatore) ha dato vita ad un interessante iniziativa sulla rete, un blog dove raccoglie diverse testimonianze di mediatori che riflettono sulla loro modalitร  di operare e sulla loro vision. Ne emerge un quadro davvero stimolante che restituisce la complessitร  e la molteplicitร  di sguardi che determinano questa disciplina. Qui, l'intervista a Massimo Silvano Galli, il sito completo all'indirizzo http://mediationhub.wordpress.com 

Intervistatore: Grazie per la disponibilitร , mi dici un po’ la tua esperienza e cosa ti ha portato a fare il mediatore? 

M.S.Galli: Il conflitto. Ho lavorato, e ancora lavoro, con e nel conflitto, in presentia e in assentia; con soggetti, gruppi, famiglie in cui il conflitto, nelle loro relazioni, era materia all’ordine del giorno: nella sua veste esplicita e classicamente distruttiva, come nelle sue forme latenti (spesso le peggiori). La mediazione si รจ rivelata, anzitutto, come una filosofia dove il conflitto sposa o, almeno a mio avviso, dovrebbe sposare, quella dimensione neutra in cui personalmente lo percepisco, cercando di viverlo nella sua veste di promotore evolutivo delle relazioni. 

Intervistatore: Quale รจ secondo te l’ambiente, lo spazio ideale per svolgere una mediazione?  

M.S.Galli: Non credo nel setting. Almeno per quel che concerne la mediazione. Penso che il mediatore debba anzitutto accompagnare le parti in un non-luogo, ossia quello spazio dal quale si cerchi il piรน possibile di lasciare fuori il mondo cosรฌ come appare: il mondo coi suoi dettami, le sue regole, i suoi codici, le sue coercizioni, i suoi dogmi, per aiutarle a cercare dentro di loro, e rispetto alla specificitร  della loro relazione, le leggi piรน adeguate per disciplinare il conflitto che stanno vivendo, trasformandolo da distruttivo a costruttivo. In questo senso, la mediazione puรฒ essere intesa come un’utopia, un u-topos, un senza luogo che proprio nel non-luogo che il mediatore allestisce puรฒ trovare dimora. Da qui in poi รจ chiaro che assume un senso del tutto secondario il concetto di setting. Il setting รจ il mediatore. 

Intervistatore: Ma avrai una tua stanza specifica per svolgere le mediazione, no? Come l’hai strutturata? 

M.S.Galli: Be’, se la stanza รจ il mediatore, sarร  fondamentale che lui per primo creda e incarni questo non-luogo. Poi certo, nella stanza che mi capita di usare abitualmente, ci sono cose fisiche e concrete: libri, cd musicali, pennarelli, fogli dove poter scrivere e disegnare, giochi di varia tipologia, immagini, riproduzioni di opere d’arte, riviste da ritagliare, insomma tutto quello che puรฒ servire per aiutare le parti a entrare in questo non-luogo, la cui porta di ingresso, รจ bene sottolinearlo, bascula cercando perennemente un equilibrio, tra logica e fantasia, realtร  e immaginario, intuizione e ragione… Per questo si tratta di materiali che, prima di averli a disposizione fisicamente, il mediatore dovrebbe anzitutto averli dentro di sรฉ. รˆ il motivo per cui, tra un qualsivoglia saggio o manuale sulla mediazione e un buon libro di poesia, narrativa, una mostra d’arte, un concerto, uno spettacolo teatrale, il mediatore dovrebbe sempre scegliere uno di questi ultimi, perchรฉ sarร  tanto piรน formativo e foriero di stimoli per aiutare le prossime persone che gli capiterร  di mediare. 

Intervistatore: Ti siedi sempre nello stesso posto, o lasci la libertร  alle parti di sedersi dove preferiscono per poi decidere dove metterti? 

M.S.Galli: Mi siedo vicino al mio bloc-notes: la lavagna a fogli mobili. Quindi, davanti a me, dispongo le sedie delle parti in modo da formare il classico triangolo equilatero e avendo cura che, tra tutte le postazioni, via sia una distanza non superiore al metroeventi e non inferiore ai quarantacinque centimetri, senza alcuna barriera, tavolo o simili, tra me e loro. Ecco, per tornare al setting, forse questo รจ il mio setting per la mediazione.
Intervistatore: Come mai hai scelto tale modalitร ? 

M.S.Galli: La presenza della lavagna a fogli mobili o, comunque, di un supporto che dia la possibilitร  di prendere appunti pubblici, visibili a tutti i partecipanti, ritengo sia davvero fondamentale. Il mediatore, infatti, non prende appunti per sรฉ, ma per un motivo essenziale: il suo scopo non รจ capire, ma fare capire. C’รจ un’enorme differenza. Ogni tentativo di comprendere, che l’appunto personale denuncia, comporta un qualche tipo di interpretazione cui consegue qualche tipo di indicazione o ricetta, ma questa non รจ mediazione. Il mediatore non fornisce ricette solutive, aiuta le parti a crearle, attraverso loro interpretazioni e loro attribuzioni di senso. Per questo credo che la scena della mediazione, prima di ogni altra cosa, sia una scena prettamente pedagogica in cui il mediatore, in perfetto assetto maieutico, accompagna le parti a capire utilizzando i modelli di comprensione e il sapere che le parti stesse gli mettono a disposizione. La disposizione delle sedie, l’assenza di un tavolo, la giusta vicinanza tra tutti gli attori della mediazione, rispondono invece alla volontร , qui cosรฌ simbolicamente espressa, di rendere il piรน possibile simmetrici i rapporti di potere che naturalmente si instaurano in qualsivoglia relazione dove qualcuno chiede aiuto e qualcun’altro puรฒ potenzialmente offrirlo, cercando al contempo di dare il giusto e importante spazio alla parola inarticolata dei corpi, la cui importanza รจ decisamente sottovalutata in mediazione. 

Intervistatore: Come ti prepari per affrontare una mediazione? 

M.S.Galli: Non mi preparerรฒ. Ogni preparazione, di fatto, anticipa e traduce la volontร  delle parti in schemi preordinati. La scena della mediazione, invece, andrebbe contaminata il meno possibile con le pre-comprensioni del mediatore cosicchรฉ si abbassi anche il rischio che divengano pre-giudizi; questo significa che il mediatore dovrebbe avere un approccio ingenuo e il piรน possibile senza sapere. Per questo, anche nella mediazione commerciale, sarebbe meglio non anticipare l’incontro delle parti con la lettura di qualsivoglia documentazione o, se proprio necessario, leggerla e dimenticarsene subito dopo. Come diceva, credo Platone, il problema del testo scritto รจ che non puรฒ rispondere. 

Intervistatore: Come e quando individui la strategia come mediatore? Come, se accade, la modifichi in corso d’opera? 

M.S.Galli: Il mediatore, almeno nella mia personale concezione, lavora con il materiale linguistico, simbolico e narrativo che gli portano le parti. Le sue strategie, le sue tecniche, i suoi strumenti e dispositivi, non possono essere preconfigurati, ma partono da quel materiale e si modificano ogni volta che quel materiale muta e quel materiale muta proprio perchรฉ il mediatore se ne fa carico e comincia a trattarlo, a sgrezzarlo, a raffinarlo con le sue tecniche, le sue strategie, i suoi strumenti, i suoi dispositivi. รˆ in questo circolo virtuoso, in questa ragnatela, che il conflitto viene catturato per trasformare quella cosa informe, sporca, incomprensibile, rabbiosa, in un oggetto di senso, un oggetto comprensibile da parte di tutti gli attori coinvolti nella mediazione. 

Intervistatore: Hai dei personali “rituali” preparatori o che fai durante la mediazione? 

M.S.Galli: Se intendiamo come rituale non qualcosa di scaramantico, ma una scena che si ripete, piรน o meno costantemente e piรน o meno nel medesimo modo; sรฌ, ce l’ho. Si tratta di una vera a propria strategia che mi gioco nelle prime battute in cui la mediazione prende abbrivo, prima che le parti inizino a parlare. รˆ il discorso che il mediatore fa alle parti, un discorso fondamentale che dร  subito un’impronta precisa alla mediazione, che tesse una vera e propria ragnatela per attrarre e catturare le parti. Come negli scacchi, anche in mediazione, le prime mosse sono non solo di un’importanza vitale, ma anche le uniche realmente programmabili, poi, dalla quarta, quinta mossa in poi le variabili diventano tanto numerose da non poterle piรน prevedere, anzi, almeno in mediazione, da rendere controproducente ogni previsione. รˆ perciรฒ determinante che proprio nel discorso iniziale il mediatore inizi a tessere la sua trama e i suoi orditi tra le cui maglie le parti cominciano a intuire, vedere, assaporare, respirare l’utopia che (se vogliono) li potrร  catturare. 

Intervistatore: In quasi tutte le mediazioni c’รจ un momento di impasse, tu come lo affronti? 

M.S.Galli: Be’ direi che faccio molto di piรน che affrontarlo: lo provoco, lo cerco, lo stimolo, faccio in modo (o almeno ci provo) che le parti entrino in questa condizione di blocco, poichรฉ proprio quel blocco รจ il primo segnale del cambiamento e del buon lavoro del mediatore. Il mediatore deve anzitutto spezzare l’equilibrio inadeguato che le parti hanno generato cercando di gestire la loro relazione, poichรฉ spezzare quell’equilibrio รจ l’unico modo per crearne uno nuovo piรน adeguato. Il blocco, l’impasse, il non saper che fare, il silenzio, stanno a significare che quella strada che, fino a quel momento, hanno percorso da soli, a testa basta, credendo fosse l’unica possibile, ora si รจ interrotta. Il mediatore, con le sue tecniche, vi ha eretto un muro, uno o piรน ostacoli che costringono le parti a fermarsi, a tentare di superarli, di aggirarli, fino a quando, a un certo punto, se la mediazione funziona, ecco che ce la fanno: superano il muro, gli ostacoli e, guarda un po’, la gran parte delle volete ce la fanno proprio perchรฉ, superando gli ostacoli, incontrano la strada dell’Altro. 

Intervistatore: Che capacitร  dovrebbe possedere un Mediatore? 

M.S.Galli: รˆ una domanda che meriterebbe molto piรน spazio di quanto non abbiamo. Facciamo cosรฌ, le elenco senza spiegarle e ognuno le legga come crede. Allora, a mio avviso, il mediatore deve essere, anzitutto, un operatore logico-creativo, capace di dare ordine alla confusivitร  che regna nella testa delle parti e di stimolare opzioni alternative a quelle improduttive che li hanno condotti fino lรฌ. Poi deve essere un fingitore: sia in quanto attore, sia inteso come colui che trasforma. Quindi deve essere, almeno nel suo studio, il piรน irriducibile dei relativisti. Infine, deve osare, deve provocare l’utopia e, giocare e saper sbagliare e, per farlo, deve anzitutto sbarazzarsi di qualsivoglia trucco o appendice che favorisca le sue sicurezze. 

Intervistatore: Visto che i guadagni sono magri, cosa ti spinge ad affrontare ogni mediazione? 

M.S.Galli: Chi ha detto che i guadagni sono magri? Se non confiniamo la mediazione al semplice disciplinare una lite tra due condomini, piuttosto che una crisi matrimoniale, un conflitto scolastico o lavorativo, ma cominciamo a comprenderla nella sua totalitร , se ne afferriamo l’aspetto fondante di ogni relazione umana, i margini di intervento sono infiniti. Se poi vogliano fare i romantici, c’รจ un valore aggiunto che ogni mediazione restituisce: le storie. Le storie degli uomini che la mediazione riunisce (anche nel senso di “rimette insieme”, di “rinarrare”, tessendo nuove trame e nuovi orditi in cui riconoscere un senso comune) con tutta la loro carica di vitalitร  spesso, ahรฌnoi, cosรฌ trascurata e malriposta in questo nostro tempo che pare aver dimenticato quanto l’umano sia un animale in cui carne e storia si con-fondono contendendosi il primato del “chi sono”. 

Intervistatore: Vi sono, chiamiamoli “valori” cui ti ispiri per affrontare le mediazioni? 

M.S.Galli: Diciamo che il mediatore, quale soggetto neutrale (o che si sforza di essere neutrale) non dovrebbe avere alcun valore. Egli, semmai, รจ una specie di camaleonte che abbraccia e fa suoi i valori delle parti che a lui si rivolgono. Si pensi a quali danni fanno quei mediatori il cui valore รจ la giustizia, per dire uno dei fraintendimenti piรน comuni sul ruolo del mediatore. Qual’รจ รจ la giustizia in cui credono? La loro? Come la disciplinano? Aiuto! No, il mediatore, semmai, รจ un generatore di valori, quei valori che si creano quando due sguardi con desideri diversi (le parti) si incontrano e devono far copulare, per cosรฌ dire, i loro desideri affinchรฉ ne nasca uno nuovo che li rappresenti entrambi. Il mediatore, cupido, aiuta questi due sguardi ad incontrarsi e a fondersi, affinchรฉ ne discenda un terzo meticcio, il piรน possibile sano e portatore di benessere: quella cosa che qualcuno chiama riduttivamente “accordo”. 

Intervistatore: Sempre rimanendo nei “valori”, ne individui alcuni specifici della Mediazione? 


M.S.Galli: A questo punto, parlerei di vision piรน che di valori. Personalmente, ne individuo due irrinunciabili e propedeutici a quell’approccio alla mediazione il piรน possibile scevro da pre-comprensioni e pre-giudizi: una concezione del conflitto come elemento evolutivo di ogni forma vivente e, quindi, non da sconfiggere o, peggio, da evitare ma, semmai, dai ricercare, lavorando per soppiantare ogni sua forma distruttiva con configurazioni costruttive e generative e, al contempo, una posizione equidistante o, meglio, equivicina a qualsivoglia concetto di veritร , comprese quelle veritร  non ancora formulate. Senza queste due vision credo sia impossibile fare mediazione. 

Intervistatore: Quale รจ la tua “mission” personale? 

M.S.Galli: Nel mio studio di mediatore, come nella mia vita privata, nei miei incontri, durante le mie lezioni, nelle mie relazioni personali, provo a diffondere una cultura della mediazione che vada oltre i singoli particolarismi cui puรฒ essere applicata e oltre le sue, per altro opportune, speculazioni professionali. 

Intervistatore: Ora passiamo ad una domanda un po’ particolare. Vorrei che, senza pensarci troppo, mi definissi la mediazione con un simbolo, e con un altro mi indicassi il tuo essere mediatore. 

M.S.Galli: Giuseppe Capogrossi รจ uno dei piรน grandi pittori del Novecento e non solo italiano, ha disegnato per buona parte della sua carriera forme a metร  tra ingranaggi, dentiere, specie di dita… Immaginate due mani o, appunto, due ingranaggi che si guardano, si sfiorano dando l’illusione di potersi/volersi incastrare, cosa che a volte quasi succede ma mai totalmente. Infatti, in queste opere, questi oggetti piรน che altro si osservano, a diverse distanze l’uno dall’altro, segnalando cosรฌ la potenzialitร  dell’incastro, dell’incontro, della fusione, che tuttavia mai accade totalmente. Quel che accade, invece, รจ che tutte queste opere denunciano una bellezza, una relazione, un’armonia e un equilibrio faticosamente raggiunto. Io ho scelto uno di questi segni, di questi incontri promessi quale logo della mia attivitร  che non si esaurisce nella mediazione, ma la contempla nel concetto piรน generale di relazione. 

Intervistatore: Un commento tuo personale sulla Mediazione, piena libertร  di risposta...

M.S.Galli: Abbiamo appena iniziato.

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