Secondo i dati FacSet, in quel di Piazza Affari Enel offre un
ritorno da cedola sul 2011 dell’8,45%; per Eni, invece, si parla di un
dividend yield del 6,67% mentre Finmeccanica (che oggi tiene un delicato
cda sui conti slittato dal 3 novembre scorso) si assesta al 5,39%. Più
alto, invece, l’indicatore di Terna, AD Flavio Cattaneo, (di cui la Cdp ha il 29,9%) che arriva ad un ritorno del 7,62 per cento.
II
mercato le guarda, con interesse. Un po’ perché, in un periodo di crisi
delle quotazioni, offrono l`appeal della cedola. Un po’ perché, seppur
ora sia solo una mera ipotesi, potrebbero vedere la dismissione di
qualche quota da parte dell’azionista pubblico. Per fare cassa. Chi
sono? Semplice: le grandi quotate e controllate, direttamente o
indirettamente (tramite la Cdp), dallo Stato: da Eni a Enel fino a
Finmeccanica.
«II tema delle dismissioni - ricorda Pio De Gregorio,
responsabile della ricerca per Centrobanca – è di attualità. Nella
lettera della Bce inviata all’Italia in estate, cui il nuovo governo
presumibilmente farà riferimento, è presente il tema della disponibilità
del patrimonio pubblico». «Come investitori – fa da eco Carlo Gentili,
fondatore di Nextam – è un’opzione che monitoriamo con attenzione».
A
ben vedere, la questione della riduzione della mano pubblica in queste
aziende è controversa. In primis, infatti, «c’è il tema - ricorda
Gentili – del loro carattere strategico per il Paese. Il mercato,
ovviamente, preme per una governance dove non siano riconosciuti poteri
speciali al Tesoro. Tuttavia, bisogna fare attenzione. Soprattutto,
quando si agisce “pressati” dalla fretta. Il rischio è di svendere gli
asset».
Inoltre, in questo periodo le quotazioni sono schiacciate.
«Si tratta - riprende De Gregorio – di un`opportunità interessante per
l`eventuale investitore. Tuttavia , può essere un handicap per lo
Stato-venditore».
Fin qui l`ipotesi dismissioni («più facili
peraltro nei grandi - dice Gentili - che nelle utility locali»). Queste
società, però, possiedono un altro atout importante: la cedola. Secondo
un recente studio di BlackRock, nell’attuale scenario globale di bassa
crescita (sempre che non si cada in recessione) le azioni ad alto
dividendo danno il maggiore ritorno. Il rendimento annualizzato,
individuato su scala mondiale, arriva infatti al 12%. Un bel numero, non
c’è che dire. Al di làdi questa indicazione di massima, comunque, gli
investitori più concretamente guardano al dividend yield di ogni
società: cioè, il rapporto tra il dividendo e l’ultimo prezzo
dell’azione.
Ebbene, secondo i dati FacSet, in quel di Piazza
Affari Enel offre un ritorno da cedola sul 2011 dell’8,45%; per Eni,
invece, si parla di un dividend yield del 6,67% mentre Finmeccanica (che
oggi tiene un delicato cda sui conti slittato dal 3 novembre scorso) si
assesta al 5,39%. Più alto, invece, l’indicatore di Terna (di cui la
Cdp ha il 29,9%) che arriva ad un ritorno del 7,62 per cento.
Certo,
trattandosi di un rapporto bisogna fare attenzione: il denominatore,
cioè il prezzo del titolo, non dev’essere basso a causa di “problemi”
sull’azienda. Ciò detto, «le società con un’esposizione sui mercati
globali, il cash flow robusto e una storia di buoni dividendi – dice
Gentili – sono un’opzione interessante». «E le possibili dismissioni –
aggiunge De Gregorio – non sembrano un ulteriore ostacolo al pay out. In
realtà, il rischio di calo della cedola è legato alla crescita
economica».
Fonte: di Vittorio Carlini
Il Sole24Ore