Un video d'arte per rispondere al recente disegno di legge (S1861. Art. 2,1) che vorrebbe che le opere coperte da copyright possano circolare nelle rete solo se "degradate" [guarda il video]
Cosa significa degradare? Passare a un livello inferiore, provocare un'erosione, deteriorare, danneggiare?
Ma se questo vale per le cose cui la vita dà un valore (economico, affettivo, etico, estetico, fisico), certo non vale per l'arte (almeno per come la conosciamo oggi) e le sue creature.
L'opera d'arte, una volta degradata, non si degrada.
Le opere d'arte sono, anzi, bio-degradabili, nel senso che rispondono ad un principio che sfugge all'erosione della normalità. Ogni loro degrado, si pensi anche a quello del tempo, torna sempre al "bio", alla vita, sotto forma nuova, lasciandoci scoprire, in verità, un'altra opera che l'originale aveva, fino allora, celato; un mondo sotteso e, fino a quel momento, invisibile.
Con buona pace del legislatore, che vorrebbe che le opere coperte da copyright possano liberamente circolare nelle rete solo se degradate (disegno di legge S1861. Art. 2,1), l'arte è sempre in grado di compiere uno scatto vitale e riportare alla vita ciò che non ha vita, nobilitando quel che il senso comune vorrebbe degradato. Cosicché, il concetto di degrado, passando dentro la macina dell'arte, finisce per capovolgersi su se stesso e diventare solo un pretesto per creare nuove vitali creature.
"DegraDante" prende a prestito, non a caso, il più degradato degli uomini, quel conte Ugolino cui la fame fu più forte del dolore e discese dall'albero maestro dell'umano per essere accolto tra i moti viscerali della bestia. Un frammento di altissima poesia che simboleggia il degrado dell'uomo ma anche, al contempo, la sua più intensa levatura, capace di dare divinità all'orrore.
Ho degradato Dante Alighieri e il suo odierno interprete Roberto Benigni: impastandoli, impiastricciandoli, spremendoli, graffiandoli, striandoli, scavandoli, dissolvendoli, per portare in luce quella chimica interiore della sofferenza che pervade tutto il canto.
Ne è ri-nato un viaggio; un viaggio che scava nell'anima e mostra e urla il suo dolore nella fatica della parola che si trascina esasperatamente, nello stridore, negli omissis che disgelano il Reale celato dietro la pur orrenda realtà.
Uno strano viaggio, in verità. Un viaggio in cui ci si muove più ci si sofferma ad osservare il balletto di crani che un Benigni trasfigurato mette in scena: il suo, quello di Ugolino, quello del Ruggeri... e, attraverso questa condizione di apparente stallo (di apparente ballo), si dà nuovamente spazio all'attesa e ci si dispone ad accogliere la sorpresa d'ogni invisibile comparsa che ci cela nell'indeterminato.
Un viaggio a ritroso che, dai territori luminescenti del raziocinio, ci riaccompagna al perduto sonno di una ragione che, finalmente sopita, scopriamo ancora in grado di generare bellissimi mostri, quei mostri che, desti, spesso commettiamo l'errore di mandare a morire: perché indecifrabili, incomprensibili e pieni di una vita apparentemente aliena, o almeno dissonante nell'universo, quello sì, degradato che ci circonda.
Massimo Silvano Galli www.msgdixit.it
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